Sai cos’è il neuromarketing?

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    Il neuromarketing è una scienza che dà la possibilità di creare una comunicazione efficace e diretta per qualsiasi brand. Uno dei massimi esperti in materia in Italia, Mariano Diotto, ci insegna nel suo manuale Neurobranding: il neuromarketing nell’advertising e nelle strategie di brand per i marketer” cosa si nasconde dietro questo affascinante mondo. 

     

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    Tale disciplina poggia su comprovate evidenze scientifiche e si avvale di attrezzature e tecniche sofisticate (risonanze magnetiche funzionali, PET, elettroencefalogrammi, ecc.) in grado di analizzare attentamente il nostro cervello nel momento in cui viene chiamato a fare scelte d’acquisto. Ad oggi molti pubblicitari e creativi sostengono che l’applicazione di un metodo scientifico ostacoli lo slancio creativo e la realizzazione di una brand identity e che non sia possibile in tal caso prevedere regole imposte e predefinite. I manager e i marketer sostengono invece che per dar vita a strategie di marketing sia di gran lunga meglio la loro esperienza sul campo e il loro istinto rispetto a quanto descritto dalle ricerche. Il neuromarketing nasce dalle neuroscienze (o neurobiologia), un ramo della biologia che si occupa di scrutare il funzionamento del sistema nervoso e che include nozioni derivanti da altri ambiti di ricerca come la fisica, la chimica, la statistica.  Le neuroscienze, inoltre, collaborano con differenti discipline quali le scienze cognitive, l’informatica, la semiotica, la linguistica, la comunicazione, la psicologia, la sociologia, il marketing, la filosofia e l’ingegneria.

     

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    Ma quali sono le aree principali in cui le aziende utilizzano il neuromarketing?

    • Le attività di branding (quello che prende il nome di neurobranding); essa è la parte più importante è significativa, perché aiuta l’azienda nella ricerca di una brand identity;
    • il design ed innovazione del prodotto, cioè la fase legata al testare il design e il packaging di un prodotto prima che venga immesso nel mercato;
    • l’analisi del processo decisionale del cliente; si tratta di una fase di studio dei motivi che conducono un consumatore all’acquisto di un dato prodotto;
    • il retail, cioè la fase legata alla “spettacolarizzazione” e valorizzazione del prodotto;
    • la customer experience, vale a dire l’elaborazione di un percorso di fruizione degli spazi interni ed esterni di un punto vendita e degli elementi attrattivi qui presenti (modalità di esposizione dei prodotti, infografiche, utilizzo di profumi, illuminazione, ecc.).

    Queste fasi hanno lo scopo di realizzare un effetto psicologico ricco di stimoli per il cliente. 

    Il neuromarketing tiene in considerazione un altro importante concetto, quello dei buyer personas, differenti categorie di potenziali clienti distinte per caratteristiche personali e sociodemografiche.

    Si tratta di personalità fittizie fondate su determinate peculiarità comportamentali e che rivelano i possibili insight d’acquisto, il pensiero e le soluzioni applicate dal cliente per un problema o una necessità.

    Queste categorie permettono di comprendere in profondità il consumatore  ponendolo al centro del sistema comunicativo e creando strategie efficaci e create ad hoc per lui.

     

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    Le emozioni di un acquisto

    Ora sorge spontanea una domanda: possiamo vivere senza emozioni? Può davvero essere solo la nostra razionalità a guidarci nella realtà? Il neuroscienziato e psicologo portoghese António Rosa Damásio si è occupato a fondo nei suoi studi del continuo dilemma ragione Vs emozione. Nel suo saggio “L’errore di Cartesio” del 1995, Damásio ridona valore alle emozioni da sempre disprezzate dalla tradizione culturale sottolineando come esse siano elemento chiave per un adeguato funzionamento della mente. Il neuroscienziato descrive come corpo e cervello siano inscindibili negando la concezione cartesiana del dualismo mente-corpo. Le ricerche di neuromarketing hanno dimostrato che le attività d’acquisto sono principalmente innescate da stimoli del tutto improvvisi, i trigger, che creano nelle persone reazioni emozionali diverse come l’attesa, il desiderio, la preoccupazione o l’adrenalina per la ricerca di prodotti. Il cervello funziona mettendo in azione un incredibile risparmio di energia svolgendo una buona parte delle sue operazioni mediante l’automazione di svariati processi di pensiero in tre modalità:

    • la maggior parte delle decisioni d’acquisto si prendono inconsciamente;
    • le scelte d’acquisto avvengono per categorizzazione;
    • le decisioni di spesa sono regolate da pensieri semplici e rapidi.

    Essenzialmente al momento dell’acquisto le scelte che compiamo derivano da due differenti tipi di memoria: la memoria conscia e la memoria inconscia. Un precursore in tale campo fu il filosofo francese François-Pierre-Gonthier Maine de Biran. Nei suoi scritti distingueva i ricordi impliciti da quelli espliciti. I primi sono ricordi sensibili legati alle nostre emozioni, gli altri sono memorie basate sull’abitudine. Le emozioni, le conoscenze, le esperienze e le pratiche compiute da ogni consumatore vengono organizzate nel cervello secondo schemi semantici d’interpretazione che la memoria utilizza per risparmiare energia. Tali concetti legati tra loro danno vita ai “magazzini associativi”.

     

    I valori di un brand

    Ma che valore ha un brand? Cosa trasmette al cliente? Oltre al suo valore d’uso e quello funzionale, ogni brand ha:

    • un valore simbolico, vale a dire il valore della marca;
    • un valore di legame, cioé la capacità di quel prodotto di creare legami sociali;
    • un valore sociale, quando un brand è in grado di divenire un riferimento per i cambiamenti culturali e per l’evoluzione sociale.

     

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    Il customer journey

    Nel neuromarketing persino organizzare uno scaffale in modo equilibrato ed armonico è fondamentale.  I prodotti simili possono essere disposti in posti vicini oppure, in alternativa, si possono creare dei raggruppamenti sulla base delle funzioni d’uso quotidiane. Si può seguire una disposizione in base alle differenti esigenze di spesa oppure tenendo conto di regole ergonomicamente legate alla percezione e del pick-up dei prodotti: suolo (ripiano inferiori o posizionamento a terra), mani (zona centrale dello scaffale) e occhi (zona alta e pregiata). Quest’ultime regole, secondo le logiche del category management, hanno condotto negli anni ad aumenti progressivi delle vendite. Spostando un prodotto dal livello suolo a quello mani, l’incremento delle vendite supera il 30%, mentre il passaggio dal livello mani al livello occhi può portare ad un aumento del 50%. Oggi qualsiasi azienda cerca il più possibile di realizzare un brand emotional experience, cioè un’esperienza e una consapevolezza che possa catturare il cliente completamente. Questo avviene in modo particolare nel mondo del food con lo sviluppo sempre più incalzante di un’idea di food experience.  La neurogastronomia, teorizzata dallo scienziato Gordon Sheperd, crea un ponte tra le neuroscienze e l’esperienza alimentare.  Quello dell’alimentazione, infatti, è un processo sinestetico, include in sé i nostri cinque sensi, ma anche una lunga serie di emozioni e ricordi. Quando degustiamo qualcosa compiamo un itinerario nei sensi: dagli occhi, al naso, al palato. Nei procedimenti di neurobranding la persuasione e i condizionamenti giocano un ruolo fondamentale. Secondo Robert Cialdini, professore emerito di psicologia e marketing presso l’Arizona State University ed autore del libro “The Psychology of Persuasion” (1984), esistono sette principi universali della persuasione in grado di guidare il comportamento umano: reciprocità, scarsità, autorità, impegno e coerenza, simpatia, riprova sociale, unità. Per comprendere a pieno le emozioni del cliente è essenziale guidarlo in un vero e proprio “viaggio d’acquisto” (customer journey). Tale percorso prevede 5 punti cardine:

    • awareness, la notorietà del brand nell’immaginario collettivo;
    • familiarity, capacità di un prodotto o di un servizio di essere riconosciuto nella concorrenza;
    • consideration, orientamento del consumatore verso un dato prodotto o servizio;
    • purchase, momento d’acquisto effettivo del prodotto o del servizio;
    • loyalty, fedeltà del cliente nelle fasi successive al primo acquisto.

    Anche nel mondo dell’e-commerce è oramai necessario organizzare gli “spazi virtuali” in modo armonico, specialmente nella progettazione dei siti web. Si parla di neurodesign Si offre al cliente un’user experience che ponga al centro la sua percezione e le sue reazioni, una grafica semplice, ma dinamica, che fornisca la navigazione in rete e dei contenuti costantemente e rapidamente aggiornati. 

     

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    L’etica del neuromarketing

    Il neurobranding deve, però, avere delle solide basi etiche: responsabilità, informazione, ascolto, relazione, negoziazione, libertà individuale, riservatezza. Si può dunque affermare che il neurobranding sia etico? C’è qualcosa di moralmente sbagliato nel voler comprendere i nostri processi cognitivi? Sembrerebbe di no, se il fine è quello di fare qualcosa di positivo per i consumatori e non ledere i loro diritti inalienabili. Se, contrariamente, il neuromarketing condiziona la domanda in modo manipolatorio, l’etica viene meno.  I consumatori verrebbero inevitabilmente imprigionati in processi decisionali d’acquisto e di consumo predefiniti, procedimenti di scelta svuotati di ogni forma di pensiero critico. Solo lasciando i clienti liberi di decidere quale, quando e come acquistare un prodotto o un servizio si mette in atto un marketing sano privo di “psicotrappole”, un marketing che non prenda in giro nessun consumatore.

     

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    Image Credit: Digital Dictionary, Mirko Bresciani, Neuromarketing Agency On Web, Unsplash, Franz Russo.

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