La magia dei bias cognitivi: cosa si nasconde dietro i loro meccanismi?
La costruzione di strategie di marketing si fonda sulla consapevolezza che il nostro cervello sia predisposto a generare scorciatoie decisionali conosciute come bias cognitivi ed euristiche.
Le euristiche sfruttano processi di semplificazione pura: il cervello dà priorità alle informazioni che ritiene primarie prima di effettuare una scelta.
I bias cognitivi sono invece legati a procedimenti più complessi e al nostro bisogno di creare e riconoscere schemi nel mondo che ci circonda.
Nella maggior parte dei casi si tratta di errori cognitivi che influenzano i nostri comportamenti e le nostre decisioni e che modificano il rapporto che ognuno di noi ha con la realtà.
Tali meccanismi di semplificazione mentale descrivono come le esperienze positive o negative con un brand possano spingere o meno ad un secondo acquisto.
Le euristiche
In psicologia e nelle scienze cognitive con il termine euristica si intende un modo di pensare o un processo di decisione basato su regole approssimative o scorciatoie mentali.
Ne distinguiamo quattro tipologie:
- euristica della rappresentatività: si presenta quando gli individui tendono a sovrastimare il valore informativo di campioni ridotti attribuendo caratteristiche simili ad oggetti simili e ignorando elementi che dovrebbero indurre a pensare il contrario;
- euristica della disponibilità: i clienti riconducono alla probabilità di un evento l’effetto emotivo di un ricordo, piuttosto che la reale probabilità oggettiva; tali soggetti “programmano” la propria memoria e usano le informazioni che hanno recuperato come un indice di frequenza;
- euristica affettiva: le scelte e i giudizi dei consumatori sono riconducibili al dubbio e alle modalità con cui lo stesso viene posto; è il motivo per cui molti clienti scelgono sempre lo stesso prodotto da anni e non vogliono modificare tale scelta;
- euristica dell’ancoraggio: questo tipo di euristica descrive l’universale tendenza umana a dare troppa fiducia alle prime informazioni che si trovano quando si cerca di prendere una decisione ed è per questo che molte recensioni positive di un prodotto poste in testa al box dei commenti risultano maggiormente favorevoli.
La metafora dell’avaro cognitivo presuppone che la mente umana sia piuttosto limitata nella conoscenza, nel tempo, nell’attenzione e nelle risorse cognitive.
Le persone non si fermano a pensare con cautela e con razionalità, ma tendono a utilizzare scorciatoie mentali per giungere a conclusioni potenzialmente logiche e giudizi validi.
I bias cognitivi
I bias cognitivi si possono invece dividere in quattro grandi aree:
- priming e framing;
- bisogni e motivazione;
- attenzione e percezione;
- bias sociali.
Il posizionamento strategico utilizza uno tra i bias più comuni: il framing.
Quest’ultimo si fonda sulla nostra tendenza a definire la realtà secondo il contesto (frame of reference) in cui viene presentata scegliendo informazioni chiave che l’audience potrà memorizzare mettendo da parte tutte le altre secondarie e complementari.
Il frame of reference rappresenterà dunque le categorie in cui quell’informazione verrà archiviata e in cui il nostro cervello andrà a ricercare le informazioni con cui colmare quei dubbi lasciati dal vuoto di esperienza diretta.
Elencheremo solo alcuni dei numerosi bias cognitivi presenti nell’universo delle strategie di neurobranding.
Nel bandwagon effect le persone sono propense a credere in qualcosa solo perché in molti lo fanno. Basti pensare a frasi come: “Questo prodotto è stato già acquistato e apprezzato da oltre 5000 donne come te“.
Il Ben Franklin Effect prende il nome dall’eroe americano Benjamin Franklin. Il suo motto era: “Chi una volta ti ha fatto una gentilezza sarà più pronto a fartene un’altra senza che tu debba domandare”. Si tratta di offrire una risorsa in cambio di qualcosa: uno sconto, l’accesso a promo esclusive, un e-book, un video.
I clienti lasciano così i loro dati (e-mail, numero di telefono, ecc.) dando vita così ad una lead generation. Al cliente si chiede qualcosa di insignificante a livello economico o comportamentale per avere un successivo vantaggio significativo per l’azienda.
Il bias dell‘avversione alle perdite (loss aversion) nasce dall’impatto delle emozioni negative di perdita di qualcosa. Quest’ultime sono due volte più potenti delle emozioni positive, quelle in cui otteniamo qualcosa.
Immaginiamo il caso di offerte a tempo limitato, immaginiamo frasi come: “Non puoi lasciarti scappare quest’offerta!“. Si tratta però di bias che vanno usati con parsimonia e onestà, perché in tal caso il rischio di perdita di credibilità aziendale è molto alto.
Nel bias dell’ancoraggio le scelte si fondano in modo rilevante sull’offerta di un’informazione iniziale (ancora). Tale meccanismo viene utilizzato spesso prendendo in considerazione un dato prezzo di partenza, barrandolo successivamente e proponendo un prezzo di vendita minore.
Nell’effetto esca se un cliente è in bilico tra due opzioni, presentando una terza opzione chiamata opzione asimmetrica (una vera e propria esca), quest’ultima influenza fortemente la decisione d’acquisto. Questo bias è usato frequentemente nelle strategie di marketing per invogliare la clientela a comprare il prodotto che l’azienda vuole che venga acquistato per primo.
Il principio di scarsità nasce da un semplice esperimento: un barattolo pieno di biscotti venne messo a confronto con uno che ne conteneva solo due. Si scoprì che i partecipanti desideravano maggiormente un biscotto dal barattolo che ne conteneva due semplicemente perché era quasi vuoto. I consumatori compiono il ragionamento per cui se è più difficile o urgente acquistare un prodotto o ci sono più probabilità che termini questo acquisisce più valore nella loro mente.
La scarsità è associata nel cervello a qualcosa di positivo, lussuoso ed esclusivo, in quanto partono dal presupposto che se un prodotto è presente in quantità limitata è perché tutti lo vogliono o lo hanno già acquistato. Questa tattica è stata utilizzata per molto tempo da Apple che immetteva sul mercato un numero limitato di prodotti.
Nell’effetto Ikea i consumatori attribuiscono un valore sproporzionato ai prodotti che hanno parzialmente creato loro stessi. La ricerca di Ikea prese spunto da Build-a-Bear, un giocattolo americano che consentiva ai bambini di creare in autonomia il proprio peluche. Grazie a questo bias le persone sembrano più disposte a pagare per un articolo in cui hanno messo un certo impegno personale nella costruzione finale.
Nel bias della dissonanza cognitiva si presenta un meccanismo di incongruenza negli atteggiamenti o nei comportamenti dei clienti. L’audience è spinta a cambiare qualcosa per eliminare tale dissonanza. Quest’azione di rimozione produce una sensazione di disagio che il consumatore tenta automaticamente di ridurre ripristinando una coerenza.
Quando il cliente percepisce che i suoi pensieri, sentimenti e azioni sono in conflitto tra loro, interviene il bias della dissonanza cognitiva. Quest’ultimo ha il compito di eliminare il senso di malessere e sgradevolezza avvertito dal cliente. Tutto ciò conduce quest’ultimo inevitabilmente a dover cambiare le proprie credenze, azioni, ambizioni e percezioni.
Nel bias della cognizione sociale viene sfruttato una determinata idea o percezione legata al prodotto che possa accomunare più persone possibile, facendole sentire appartenenti tutte ad un unico gruppo sociale.
E’ il caso della campagna pubblicitaria di Sì, profumo iconico di Giorgio Armani. La protagonista testimonial dello spot, Cate Blanchett racconta il profumo come un autentico simbolo di audacia femminile. Il prodotto incontra così le caratteristiche identitarie delle acquirenti, delle donne dal carattere forte e determinato.
L’etica dei bias
Si parla di etica dei bias perché l’utilizzo di quest’ultimi nel marketing può sollevare preoccupazioni riguardo all’equità, alla manipolazione e alla trasparenza delle pratiche di marketing.
C’è il rischio di manipolare le decisioni dei consumatori in modi che potrebbero non essere nel loro miglior interesse. Questo solleva preoccupazioni sull’etica della manipolazione psicologica per ottenere vendite o vantaggi commerciali.
I bias possono perpetuare o amplificare disuguaglianze o discriminazioni esistenti. Ad esempio, se vengono utilizzati bias basati sulla razza, sul genere o su altri attributi personali per indirizzare le offerte di marketing, si potrebbe creare un trattamento ingiusto o discriminatorio nei confronti di determinati gruppi di persone.
L’etica del neuromarketing richiede che i consumatori siano informati e consapevoli dell’utilizzo dei bias da parte dei professionisti del settore.
Ciò implica la trasparenza nella comunicazione e nella divulgazione delle pratiche di marketing, in modo che i consumatori possano prendere decisioni informate e consapevoli.
Le aziende che utilizzano pratiche di marketing etiche e trasparenti tendono a costruire una migliore reputazione presso i consumatori. Al contrario, l’utilizzo di bias manipolatori o discriminatori può danneggiare la reputazione dell’azienda e minare la fiducia dei consumatori.
In sintesi, l’etica dei bias si concentra sull’assunzione di responsabilità da parte delle aziende nel garantire che le pratiche di marketing siano trasparenti, rispettose, non manipolative e non discriminatorie.
L’obiettivo è promuovere un ambiente di marketing equo, informato e rispettoso per i consumatori.
Bibliografia: “Neurobranding. Il neuromarketing nell’advertising e nelle strategie di brand per marketer” di Mariano Diotto – Linkedin: https://www.linkedin.com/in/marianodiotto/
Image Credit: Unsplash, BeautyBiz
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